Il mio primo tutorial di Camera Oscura è on-line!
10 Giugno 2014Le Balere di Gian Luca Perrone alla Galleria Gallerati di Roma
25 Giugno 2014Strumenti Semplici
Molto tempo fa, quando cominciai ad insegnare Fotografia ho cercato di individuare alcuni semplici “strumenti dell’osservare” che potessero essere di aiuto per identificare alcune tendenze della fotografia e aiutare a creare un quadro generale.
Sguardo vs. Scena
Cominciai osservando che quasi tutte le immagini ricadono in due categorie principali: fotografie che tendono a (ri)produrre lo sguardo, più spesso solo un colpo d’occhio, e fotografie che tendono a (ri)produrre una scena.
Le immagini che tendono a (ri)produrre lo sguardo danno meno libertà di interpretazione all’osservatore e lo forzano ad accettare o rifiutare, nettamente, la visione del fotografo. Sono immagini che ordinano a chi le osserva: ”guarda coi miei occhi”. Le immagini che tendono a (ri)produrre una scena lasciano, invece, più spazio all’osservatore. In questo tipo d’immagini la visione del fotografo è più gentile, meno intrusiva. Esse dicono all’osservatore: “guarda cosa c’era davanti alla fotocamera”.
Produrre “colpi d’occhio” divenne popolare negli anni ’40, quando alcuni fotogiornalisti scelsero delle famose fotocamere compatte come strumento d’elezione. Essi diedero inizio ad una moda che presto contaminò altri generi e che ancora imperversa senza sostanziali ripensamenti, solo con qualche aggiornamento. Come verifica, un breve sguardo al sito del World Press Photo è sufficiente per vedere molti esempi di “colpi d’occhio” contemporanei. Credo, come molti altri, che visioni tanto imperative, prodotte da una concezione dell’immagine fotografica nata molto tempo fa in un altro mondo, siano in grande difficoltà nel descrivere il mondo d’oggi *.
Coloro che invece scelgono di (ri)produrre una scena devono trovare il loro modo di affrontare la trasparenza; trasparenza che affligge maggiormente immagini di quel tipo.
Trasparenza
Ci accorgiamo della trasparenza della Fotografia quando mostrando una fotografia di qualcosa, alla domanda su cosa chi la guarda veda la risposta è che vede quel qualcosa. È un fraintendimento comune. Stanno, infatti, guardando un’immagine; un’immagine che è una rappresentazione e non stanno guardando quel qualcosa. È ben diverso, ma questa differenza viene spesso ignorata.
Anche alcuni famosi maîtres à penser sono stati tratti in inganno dalla trasparenza della fotografia. Roland Barthes è il più noto. Nel suo libretto, la Camera Chiara, egli considera le fotografie come oggetti totalmente e perfettamente trasparenti generando così dei corto circuiti mentali abbstanza ridicoli che perfino Egli non riesce a gestire.
Chiaramente le fotografie possono essere più o meno trasparenti, possono perfino avere diversi tipi di trasparenza, ma non possono mai essere totalmente trasparenti o, viceversa, totalmente opache rimanendo al contempo fotografie. La trasparenza della Fotografia è sempre una trasparenza imperfetta.
Quando una fotografia mostra un ridotto grado di trasparenza l’attenzione dell’osservatore si concentra maggiormente sull’abilità del fotografo e sulla superficie (in senso letterale) dell’immagine. Le immagini con un elevato grado di trasparenza tendono, invece, a spostare l’attenzione dell’osservatore verso ciò che nella fotografia è rappresentato lasciando in secondo piano l’autore e la superficie dell’immagine.
La visione dell’autore è presente in ogni caso dal momento che il grado di trasparenza dell’immagine è stata una sua scelta: una gran parte di quella che chiamiamo la “visione” di un fotografo sta proprio in come esso decida di gestire l’imperfetta trasparenza del mezzo.
Nella storia della fotografia abbiamo visto diversi modi di relazionarsi alla trasparenza. Agli albori vi fu una breve infatuazione per la sua stupefacente trasparenza, subito dopo seguita da una spinta a ridurla. Quella elevata trasparenza fu infatti sentita come qualcosa che avrebbe diminuito il valore dell’immagine e di chi l’ha prodotta. Chiamammo “fotografia pittorica” questa riduzione del grado di trasparenza.
Credo che sia utile generalizzare ad ampliare il concetto di
fotografia pittorica a tutte le immagini che mostrino un ridotto grado
di trasparenza (a quelle, cioè, che ci spingono ad osservarne la
superficie o la maestria di chi le ha prodotte), piuttosto che
identificare la fotografia pittorica con una certa estetica. Credo sia
utile perché ci mostra che molti dei tentativi che si sono succeduti nel
tempo di superare la fotografia pittorica e riconquistare l’iniziale
amore per una elevata trasparenza siano stati spesso contraddittori.
In quest’ottica, per esempio, appare perfettamente logico che nelle
competizioni fotogiornalistiche i contendenti, al fine di evidenziare il
loro valore, tendano a scegliere di riprodurre un colpo d’occhio,
conseguentemente optino per una qualche riduzione della trasparenza (o
un certo pittoricismo) e lascino il soggetto in disparte…
Il grado di trasparenza è una scelta del fotografo. È una scelta basata su cosa venga percepito come trasparente in un certo tempo ed in una certa cultura. Analizzare questa scelta ha una grande importanza per capire o determinare i vari significati che l’immagine fotografica può avere.
Andrea Calabresi
Traduzione dell’articolo scritto per Yet Magazine nel marzo 2014
*) Da una intervista a Simon Norfolk: Non mi sono stancato dei soggetti del fotogiornalismo – mi sono stancato dei clichees del fotogiornalismo, della sua incapacità di parlare di qualunque cosa sia complicata. Il fotogiornalismo (dei clichees, ndt) è uno strumento buono per raccontare storie molto semplici: qui c’è un buono, qui un cattivo. È terribile. Però quello con cui avevo a che fare diventava ogni giorno più complesso, mi sentivo come uno che volesse suonare Rachmanioff con i guanti da boxe. Non è un caso che sia uno strumento inventato negli anni ’40 – bianco e nero, Leica, un’ottica da 35 mm e una narrativa anch’essa anni ’40. Insomma, se voglio fare del fotogiornalismo oggi dovrei davvero farlo con uno strumento inventato da Robert Capa?
I mean, I didn’t get fed up with the subjects of photojournalism – I got fed up with the clichés of photojournalism, with its inability to talk about anything complicated. Photojournalism is a great tool for telling very simple stories: Here’s a good guy. Here’s a bad guy. It’s awful. But the stuff I was dealing with was getting more and more complicated – it felt like I was trying to play Rachmaninoff in boxing gloves. Incidentally, it’s also a tool that was invented in the 1940s – black and white film, the Leica, the 35mm lens, with a 1940s narrative. So, if I’m trying to do photojournalism, I’m meant to use a tool that was invented by Robert Capa?